E’ diffusa tra la popolazione una sensazione di incertezza riguardo al futuro, la percezione di essersi lasciati alle spalle una classicità infranta. La contestazione o la disaffezione colpiscono la maggioranza delle forze politiche tradizionali del continente europeo. Al cospetto di un declino sociale che desta preoccupazioni crescenti, è forte la sensazione di trovarsi in un’epoca di mezzo.
E’ impossibile parlare della crisi europea senza riferirsi alla crisi della società salariale.
Precari pensionati e futuri poveri? Il caso italiano.
Risale al 3 ottobre 2005 il primo grido di allarme di Eurostat, che segnalava il rischio povertà per le popolazioni europee, tra queste l’Italia si presentava con un dato previsionale spaventoso, e cioè che il 42,5% della popolazione era a rischio povertà negli anni a venire.
A distanza di 10 anni da quella nota di Eurostat tutti i dati sulla povertà e sul rischio esclusione sociale sono in costante aumento e purtroppo con molta probabilità gli anni futuri recheranno il frutto avvelenato delle scelte non compiute.
Possiamo infatti dire che oggi coesistono più generazioni vittime delle forme di precarizzazione.
Ci troviamo in presenza di un numero di persone in notevole aumento e che se avrà risparmiato qualcosa nel corso della vita forse avrà di che vivere, altrimenti sarà la prima vera generazione di nuovi poveri senza alcuna tutela.
Il punto è che essere riusciti a risparmiare, per questa generazione di precari oggi avviata alla pensione (ad esempio appunto la prima generazione che oggi ha tra i 50 ed i 55 anni), sarà stato quantomeno poco probabile visto che le condizioni di precarietà non permettono affatto il ricorso al risparmio.
Alla prima generazione di precari verrà dunque richiesta una disponibilità al lavoro permanente e per un lavoro qualsiasi (per pura sopravvivenza) anche in età avanzata.
Inoltre, ad un certo punto, ci troveremo a fare i conti con un altro elemento, cioè la fine del cosi detto welfare familistico, tipico del contesto italiano, e cioè al fatto che il gravame della mancanza di tutele sociali è stato di fatto demandato nel passato ad un redistribuzione economica intra-familiare.
Il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale alle famiglie di occuparsi di una redistribuzione del risparmio al proprio interno, dimostra di nuovo come il rischio povertà possa ampliarsi costantemente.
E’ facile prevedere che il risparmio accumulato nei precedenti anni, in particolare dalle generazioni dal dopoguerra in poi, sarà definitivamente eroso, e la redistribuzione intra-familiare subirà una crisi definitiva.
Figli e nipoti non potranno più contare su quel minimo indispensabile “donato” dai familiari più anziani quando i tempi si fanno duri e viceversa gli stessi figli e nipoti (precari o neet che siano) non saranno in grado di sostenere i familiari più anziani.
I precari di prima generazione non avranno più aiuti dalla famiglia di origine, allo stesso tempo i componenti più anziani non saranno in grado di sostenere i propri figli e questi ultimi (precari di future generazioni) non potranno sostenere i loro genitori.
Il rischio di ritrovarsi di fronte ad una “folla solitaria” di nuovi poveri è già oggi presente e dove non presente è li a venire: pensionati o anziani di oggi, i precari di prima generazione (quelli che oggi hanno tra i 45\55 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 25\45 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate etc. stanno alimentando l’esercito dei senza diritti!
Il punto è, come si intenderà governare questo rischio di generalizzazione della povertà?
Si creeranno nuove “enclave” di ceti permanentemente dentro la sfera della povertà?
Si governeranno queste enclave con la sola forza dell’ordine?
SI avranno permanenti guerre tra poveri?
Permanenti ghetti ai bordi delle grandi metropoli? Oppure al contrario vi sarà la lungimiranza di definire nuovi diritti per costruire un nuovo senso di cittadinanza?
Il nodo della tutela di questo “precariato sociale” appare sempre più ineludibile. L’assenza di un adeguato sostegno economico, come un reddito garantito, determina la ricattabilità di questi soggetti ed in particolare del lavoratore precario ed il suo vivere perennemente sulla soglia dell’esclusione determina di fatto la rinuncia forzata al futuro.
Non è affatto allarmistico il richiamo di Guy Standing sul rischio che il perdurante disimpegno della politica nel delineare una strategia per contrastare la precarietà possa consegnare la nuova «classe pericolosa» costituita dai precari a un «inferno» populista e neo-fascista. Andrebbe invece delineata quella che Standing chiama «una politica del paradiso» che abbia al suo centro proprio l’istituzione di una misura di tangibile ed efficace garanzia del reddito.
Difficili scenari per il futuro
Assai difficilmente i meccanismi spontanei del mercato e la semplice ripresa del ciclo economico potranno porre riparo a una condizione sociale così compromessa.
L’Ocse applicando dei sistemi di analisi molto innovativi ha pubblicato un rapporto che analizza le possibilità di crescita a lungo termine dei Paesi più industrializzati.
Da questo studio emerge ad esempio che nel periodo 2011-2060 il Pil italiano, salvo l’emergere di fattori di innovazione radicale ad oggi imprevedibili, crescerà in media solo dell’1,4% annuo, un tasso di crescita largamente insufficiente a riassorbire la disoccupazione indotta dalla crisi economica degli ultimi anni.
Una situazione sostanzialmente stazionaria caratterizzerà il resto delle economie industrializzate, con una Germania ferma nel cinquantennio a una crescita dell’1,2% annuo e con una media per i Paesi dell’Osce pari al 2%.
Le analisi più accreditate non mettono dunque all’ordine del giorno l’eventualità di una crescita sostenuta capace di rilanciare in grande stile l’accumulazione e, di riflesso, l’occupazione.
D’altra parte gli outlook sulla fuoriuscita dalla crisi additano come settori produttivi del futuro dei campi che si prestano al massimo a una creazione di manodopera e di processi produttivi iper-specializzati e di breve periodo, o comunque caratterizzati da una consistente dose di precarietà.
Tra i settori rispetto ai quali si giocherà il successo economico del prossimo futuro si possono annoverare la ricerca scientifica, la medicina applicata (soprattutto macchinari per la diagnostica e creazione di nuovi farmaci), la circolazione delle informazioni, la tecnologia dei materiali e dei trasporti.
E’ lecito aspettarsi un vero e massiccio rilancio dell’occupazione dagli investimenti in queste produzioni?
Su un versante diverso, per certi versi opposto, quasi anti-tecnologico, hanno una consistente possibilità di sviluppo una serie di servizi personalizzati e di prossimità, legati all’accudimento, all’alimentazione, al benessere, alla socialità (massaggi, produzioni agricole biologiche, organizzazione di eventi a livello locale, ecc).
E’ sostenibile pensare, però, che un’economia semi-informale di questo genere possa generare impieghi stabili e adeguatamente garantiti?
Non c’è da dubitare, insomma, che il futuro sarà all’insegna della precarietà esistenziale dei produttori.
Qualsiasi piano per la creazione del lavoro dovrebbe riuscire a confrontarsi in modo convincente con questi ineludibili nodi strutturali.
Prospettive politiche
Il tema della tutela del reddito si impone dunque come cruciale e ineludibile per sortire in modo virtuoso da questa lunga crisi europea.
In effetti l’opinione pubblica del continente appare, su questo argomento, molto meno statica di quel che sembra.
Una ricca serie di iniziative in materia di reddito garantito si è susseguita negli ultimi tempi.
Possiamo in questa sede offrirne un richiamo soltanto schematico: in Spagna è stata depositata ad inizio 2015 una iniziativa di legge popolare e di conseguenza ha preso avvio una campagna di raccolta delle firme per l’introduzione di un reddito di cittadinanza «individual, universal, unconditional».
In Svizzera sono state raccolte invece circa duecentomila firme necessarie a sostenere l’istituzione di un referendum sull’introduzione del reddito di cittadinanza su una proposta che prevede che la Svizzera conceda 2500 franchi svizzeri al mese a ogni cittadino maggiorenne.
Sul piano invece della politica continentale va segnalata la conclusione della campagna per un “reddito di base incondizionato” lanciata dodici mesi fa nella forma dell’ICE (iniziativa dei cittadini europei, strumento che come noto consente di presentare petizioni alla Commissione e al Parlamento europei con il sostegno di un milione di firme di cittadini dell’Unione).
La campagna si è conclusa purtroppo senza successo, anche se è stato raggiunto il ragguardevole risultato di ben 285.042 firme di cittadini europei nei 28 paesi.
Cosi come interessanti sono alcune proposte che stanno emergendo in alcuni paesi europei relative ad un nuovo rilancio del reddito minimo garantito ma con forme di condizionatezza meno stringenti come ad esempio nella proposta della Regione francese dell’Acquitania, nelle proposte di numerosi Comuni in Olanda] su un reddito minimo incondizionato, o le proposte provenienti dalla Finlandia a dimostrazione di un dibattito molto più ampio in merito al reddito garantito.
In Italia giace in Parlamento dal 15 aprile 2013 una proposta di legge di iniziativa popolare] appoggiata nel corso dell’anno precedente da oltre 60.000 cittadini e da oltre 170 tra associazioni, comitati, partiti politici.
L’articolato di legge è ispirato a quanto di meglio avviene nei vari Paesi europei sul fronte della tutela del reddito e si pone nel solco delle indicazioni offerte dal Parlamento europeo nella risoluzione del 20 ottobre 2010 «sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa».
Nella primavera del 2015 ha preso corpo in Italia una seconda campagna di raccolta firme (ne sono state raccolte oltre 80mila) definita: “100 giorni per un Reddito di Dignità”.
Nei testi di indizione dell’iniziativa si segnalava l’aggravarsi delle condizioni sociali ed economiche per ampi strati della società italiana a causa dell’aggravarsi della crisi, ma ancor più si segnalava l’urgenza dell’introduzione di una misura di garanzia del reddito.
Questa campagna assegnava ai promotori un tempo ben preciso per attivarsi, 100 giorni, ma altrettanto imponeva alle istituzioni di dibattere e introdurre una legge sul reddito minimo garantito entro le stesso arco di tempo.
In questa seconda campagna sociale la platea dei partecipanti alla raccolta firme è divenuta ancora più ampia che nella prima.
Hanno partecipato non solo centinaia di associazioni, ma anche enti locali, sindaci, giunte comunali sparse in tutto il paese, ma anche sindacati e studenti.
L’iniziativa, che ha visto il ruolo principale e trainante dell’associazione “Libera contro le mafie” ha visto la partecipazione di un fascio di realtà sociali estremamente “trasversale”.
Dai cattolici di base agli studenti, dalle realtà di lotta per i diritti sociali a quelle di contrasto alla povertà, dai partiti agli enti locali.
Insomma una trasversalità “popolare” oseremmo dire, che ha funzionato anche da termometro delle condizioni di difficoltà economica che di volta in volta venivano denunciate, e che ha evidenziato anche quanto il tema del reddito minimo garantito sia stato ormai “fatto proprio” da migliaia di persone che infatti si sono mobilitate per questa campagna.
La piattaforma della campagna, articolata in 10 punti, esprimeva con chiarezza alcuni concetti di base per la definizione, auspicata, di una legge.
Si trattava di una sorta di “guida ai principi irrinunciabili”.
Si chiese inoltre un impegno ad personam ai parlamentari dei diversi schieramenti a partire dalla loro firma a questa piattaforma cosi da favorire l’unificazione delle diverse proposte di legge depositate cosi da poter “unire” le forze politiche intorno ad una unica proposta.
In questo senso la campagna dei “100 giorni per un reddito di dignità” ha voluto segnare il passo, tentare un allungo, definire una proposta ed arrivare ad avere finalmente il riconoscimento e l’istituzionalizzazione di un nuovo diritto nel nostro paese.
Purtroppo il Governo italiano sembra in verità piuttosto refrattario a incamminarsi su questa strada.
L’incalzare della crisi e la compiuta maturazione del dibattito costituiscono obiettivamente dei punti a favore della battaglia per il reddito garantito.
La politica dei singoli Stati nazionali appare però ancora drammaticamente debole e incapace di prendere decisioni coraggiose ed ancor più non vi sono segnali forti dalle istituzioni europee per una misura che coinvolga tutti i cittadini del continente.
L’Unione europea dovrebbe prendere un’iniziativa forte nel senso della tutela della dignità e del «diritto ad esistere».
Reddito garantito e tassazione a livello continentale delle transazioni finanziarie, potrebbe questo binomio essere la base per la costruzione non più rinviabile di un’Europa sociale?
Noi lo stiamo aspettando.
Luca Santini, Presidente BIN Italia
Sandro Gobetti, Coordinatore BIN Italia
Note:
Questi e i successivi dati sono tratti dal database di contenuto macroeconomico denominato AMECO pubblicato a cura della Commissione europea
Dahrendorf, «La società del lavoro in crisi», conferenza tenuta nel gennaio 1986, contenuta nel volume Per un nuovo liberalismo, Laterza, 1988 (ediz. orig. tedesca del 1987).
O. Negt, Tempo e lavoro, Edizioni Lavoro, 1988 p. 7 (ediz. orig. tedesca del 1984).
J. Habermas, La nuova oscurità. Crisi dello Stato sociale ed esaurimento delle utopie, Edizioni Lavoro, 1998 (ediz. orig. tedesca del 1985).
A.Gorz, Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Bollati Boringhieri, 1992 (ediz. orig. francese del 1988).
J. Rifkin, La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Baldini&Castoldi, 1995 (edizione originale dello stesso anno).
L’avvento della precarietà trova ovviamente riscontro anche nel dibattito teorico e sociologico, dagli autori concentrati sul tema del «lavoro che manca» si passa nei decenni successivi agli autori che studiano «il lavoro che si trasforma». Pochi nomi fra tutti: Ulrich Beck, Zygmunt Baumann, Manuel Castells, Richard Sennett.
Per una ricostruzione approfondita sui sistemi di protezione del reddito in Europa si veda il volume del BIN-Italia, Reddito minimo Garantito. Un progetto necessario e possibile, Edizioni GruppoAbele, 2012.
Abbiamo per la prima volta fatto riferimento alla nozione di precario di seconda generazione in S. Gobetti, L. Santini, «La necessità dell’alternativa. Il precario della crisi e il reddito garantito», pp. 46-57, nel volume del Basic Income Network – Italia, Reddito per tutti. Un’utopia concreta per l’era globale, Manifestolibri, 2009. Sul medesimo concetto si veda pure, nello stesso volume, A. Tiddi, «La soglia critica del reddito di cittadinanza», pp. 223-229.
Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2008, il corsivo è nostro.
Eurostat 3 ottobre 2005
G. Standing, «Il precariato: da denizen a cittadino?», contenuto negli atti del meeting del BIN-Italia Bella disarmante e semplice. L’utopia concreta del reddito garantito. Si veda pure, per una disamina più ampia, Guy Standing Precari. La nuova classe esplosiva, Il Mulino, 2012, già pubblicato in inglese con il titolo Guy Standing, The Precariat the new dangerous class, Bloomsbury 2011 o anche il libro A.Tiddi, Precari, percorsi di vita tra lavoro e non lavoro, Derive Approdi, Roma 2002
Organisation for Economic Cooperation and Develompent (OSCE), Looking to 2060: long-term global growth prospects, 2012.
Il Consiglio Regionale Aquitania ha approvato progetti pilota per testare l’introduzione di una “RSA incondizionato”. Il Revenu de Solidarité Active o RSA, è l’attuale strumento presente in Francia di reddito minimo garantito che prevede un means test per potervi accedere. L’incondizionalità proposta su questa misura del RSA comporterebbe di fatto la fine della condizionalità al lavoro come requisito per poter accedere a ricevere il reddito minimo e renderebbe dunque questa misura meno discriminatoria e meno burocratica. (Tratto da www.bin-italia.org)
In Olanda stanno aumentando i progetti pilota di numerosi enti locali per prendere in considerazione l’introduzione di una misura di reddito minimo garantito ed incondizionato. Sono oltre 30 comuni olandesi che stanno valutando questa ipotesi. In particolare la città di Utrecht, la quarta città più popolata dei Paesi Bassi, ha infatti attirato una forte attenzione di recente – anche a livello internazionale – con l’annuncio di volere lanciare un progetto pilota entro la fine dell’anno per garantire un reddito di base incondizionato ai suoi residenti. (tratto da www.bin-italia.org)
Prima delle elezioni politiche del 2015 vi era stato un forte dibattito da parte di tutte le forze politiche finlandesi per arrivare a definire una proposta di reddito minimo incondizionato nel paese. Tale proposta è ora parte del programma di governo. (tratto da www.bin-italia.org)
A tal proposito si può seguire il ricco dibattito proposto dalla rete mondiale per il reddito di base (BIEN) e dalla rete europea UBIE.
Per maggiori informazioni visitare il sito www.redditogarantito.it oppure www.bin-italia.org
Per maggiori informazioni visitare il sito www.campagnareddito.eu oppure www.bin-italia.org oppure sul sito www.libera.it
In quella fase ben due erano le proposte di legge in discussione alla Commissione Lavoro del Senato, una a firma Movimento 5 Stelle ed una a firma Sinistra Ecologia Libertà
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