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L’economia è un’equazione energetica

Metti 1 litro di benzina nel serbatoio dell’auto e vai fino all’ultima goccia; avrai fatto 15/20 km. Ora devi pagare una (o più) persone per riportarla al punto di partenza, benzina vs. muscoli.
L’equivalente-lavoro di 1 litro di benzina è tra 95 e 130 ore di lavoro, dato che un uomo sviluppa circa 100 Watt  un’ora di lavoro fisico umano ≈ 100 Wattora, quindi, a 15€/ora sindacali, ti costerebbe 1.400 – 1.900 € spingere l’auto al punto di partenza.
Un litro di benzina (≈1,6€) “sostituisce” tra 1.400 – 1.900 € di lavoro umano.


E se il Brent c’entrasse con la crisi fianaziaria?
Quando si parla della speculazione finanziaria che continua a devastare l’economia reale, si fa riferimento per lo più ai «titoli tossici» che, in parte, continua­no a sopravvivere, non si fa riferimento alle deviazioni dei mercati delle commodities.
Nessuno definirebbe i contratti futuri delle commodities come titoli tossici, anzi, sono considerati normalmente come simbo­lo di un mercato libero e trasparente. A mag­gior ragione questa considerazione vale per il mercato petrolifero, quello del Brent.
Ogni giorno sul mercato del Brent si effettuano transazioni (acquisti e vendite) per un ammontare di circa 500 miliardi di dollari. In particolare circa 300-500 miliardi di dollari riguardano la borsa di New York (NYMEX) e 100 — 150 miliardi il mercato del Brent ICE (Londra).
Questa di­mensione relativa de due mercati spiega anche perché di Tobin tax si può magari parla­re in Europa, ma non negli Usa.
Si tratta di un mercato estremamente liquido in mano alle maggiori istituzioni finan­ziarie mondiali che, spostando masse mone­tarie gigantesche, riescono a influenzarne l’evoluzione.

Nel mercato “paper” del Brent, inventato dalla City di Londra nel 1988, si fa finta di comprare e vendere barili di petrolio e si fa scaturire dalla dinamica di questi scam­bi il prezzo del Brent, riferimento per il prez­zo di tutti i tipi di petrolio prodotti nel mondo.

Non vengono scambiati barili, ma solo contratti di carta, che nominalmente fanno ri­ferimento a un volume “teorico” di petrolio (1000 barili per ogni contratto), ai quali non è associata la proprietà di alcuna merce.
Il loro valore è quello che altri sono disposti a paga­re per ricomprarli. Il possesso di un contrat­to non rende infatti possibile esigere la con­segna di un volume fisico di petrolio.
L’esperienza degli ultimi tre anni mostra come ogni prezzo compreso fra 35 e 150 dol­lari/barile ha piena cittadinanza nel cosiddetto mercato petrolifero.

Si tratta dell’intervallo compreso fra il costo di produzione di un ba­rile e il prezzo massimo che un automobilista e disposto a pagare per non essere obbligato a camminare a piedi.

I grandi manovratori dei mercati finanziari possono muovere una massa monetaria di tri­lioni di dollari in un contesto di grande volatili­tà, attraendo investitori, premiandoli o penaliz­zandoli, ma sempre generando profitti enormi. L’evoluzione del prezzo del petrolio ci fa vedere come, operando sul mercato del Brent, sia possibile ottenere redditività supe­riori a qualunque altro tipo di investimento economico o finanziario, fino a raddoppiare i capitali in due/tre mesi.

In questo gioco delle carte (i contratti sui futures), si può vincere sia con i mercati in salita che con quelli in discesa.
Per vincere ci vuole instabilità, volatilità, incertezza, paura. La stabilità è la morte della speculazione e dei mercati finanziari.

Da dove proviene la liquidità che gira sui mercati delle commodities? 

Fondamentalmente,  le banche usano la disponibilità monetaria per tre finalità:
Continuare a far finta di essere banche e quindi prestare soldi a chi li richiede. Attività oggi poco remunerativa e quindi limitata ai li­velli incomprimibili.
Finanziare i debiti sovrani.
Attività alla quale non ci si può sottrarre, ma che rende, relativamente, sempre meno e di cui si vor­rebbe aumentare la profittabilità.
Giocare sui mercati delle commodities fi­nanziarie, dove ci si muove indisturbati e senza regole.

Una giungla dove le istituzioni finanziarie sono la legge e «battono moneta». Banditi e sceriffi nello stesso tempo. 

Ci troviamo di fronte a uno scenario nel quale le banche hanno creato delle «catene di Sant’Antonio», sofisticate e globalizzate, di cui hanno il quasi pieno controllo.
Trovandosi in cima alla piramide di queste catene, rice­vono flussi di profitti impensabili con qualun­que altro tipo di business.
Da quì derivano i bonus astronomici dei manager del trading delle banche.

Essere «obbligati» a finanziare i debiti so­vrani degli Stati appare alle banche un pessi­mo uso della liquidità: perché usare il denaro per finanziare bond che fruttano il 4-8% quando lo stesso denaro può rendere il 30-100%?

Nel mercato dei futures petroliferi questi processi sono in atto ormai da più di un decennio.

I prezzi si muovono non più in funzione della dinamica della domanda e offerta di prodotti petroliferi, ma della domanda e offerta di contratti di carta, quelli delle “catene di Sant’Antonio» create dalle banche…

Nessuna logica di mercato.
Solo speculazioni delle banche che esasperano le aspettative, attraggono gli investitori nel gioco della “Catena di Sant’Antonio» e poi passano all’incasso.
Vaccinati dal crisi petrolifere contro i rialzi del prezzo del petrolio, e convinti che i colpevoli siano i cattivi del Golfo Persico, non abbiamo prestato attenzione a questi processi e non abbiamo ancora preso consapevolezza che, da un decennio almeno, l’Opec siamo solo noi.

L’espansione del mercato delle commodi­ties e dei futures petroliferi suggerisce l’im­magine di una metastasi con cellule impazzi­te che uccidono quelle sane. Un intervento di chirurgia radicale e deciso è divenuto un fatto di sopravvivenza.

Articolo del 2011 di Drilling, (Brent a 110$/barile)

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