In piena crisi, le
misure adottate dal governo repubblicano (contrazione della spesa
pubblica, riduzione del numero di dipendenti pubblici, delle
prestazioni sociali e degli investimenti in opere pubbliche), non
furono assolutamente efficaci. Alle elezioni del 1932 viene eletto
presidente il democratico Franklin Delano Roosvelt, che fin da subito
dichiarò di voler inaugurare un “nuovo corso”, una nuova
strategia fondata sull’intervento diretto dello Stato
nell’economia, con l’obiettivo di sostenere la ripresa economica
e l’aumento dell’occupazione.
I punti fondamentali
del “New Deal”
1. supporto
all’azione sindacale per cercare di indurre un aumento dei livelli
salariali, allo scopo di ridare fiato ai consumi.
2. grandioso
programma di investimenti in opere pubbliche, per assorbire
occupazione.
3. riforme di
carattere sociale, finalizzate a una redistribuzione del reddito.
4. leggi a
tutela dei lavoratori
5. riduzione
dell’orario di lavoro..
6. incentivi
agli agricoltori per ridurre la produzione e salvaguardare i prezzi,
e crediti per riscattare le proprietà ipotecate.
7.
il mercato borsistico e il sistema bancario furono sottoposti a
controlli.
8.
abbassate le tariffe doganali e per sostenere le esportazioni,
svalutato il dollaro.
9.
venne fatto un piano di programmazione territoriale nella vallata del
Tennessee (una delle zone più depresse del Sud).
10. tra
gli interlocutori dell’amministrazione democratica vennero inseriti
anche i rappresentanti della classe operaia sindacalizzata e le
organizzazioni degli agricoltori.
11.
Vennero poste le basi per un sistema pensionistico.
I risultati ottenuti
dal “new Deal”,che cessa di essere attuato nel 1939, furono
notevoli; tuttavia una piena ripresa economica si verificò solo con
l’aumento della produzione dovuto alle produzioni belliche,
verificatosi nell’imminenza della seconda guerra mondiale.
Il nuovo ruolo dello
Stato nell’economia
Il verificarsi della
grande crisi ha provocato un ripensamento delle teorie economiche,
con una decisa critica al liberismo assoluto, il laissez-faire.
L’economia, abbandonata a se stessa, era precipitata in un baratro
da cui occorreva farla uscire attraverso una diversa linea di
politica economica.
Fu soprattutto l’economista inglese John
Maynard Keynes a sostenerne la necessità.
Keynes sosteneva che
lo Stato non doveva intervenire solo per alleviare la disoccupazione
attraverso lavori pubblici, ma anche concedendo crediti a basso
interesse e favorendo una politica di alti salari, intesa ad
accrescere il consumo, e quindi ad allargare il mercato interno.
Allo
stesso modo, occorreva favorire una redistribuzione del reddito,
introducendo imposte progressive, che colpissero le rendite
improduttive.
Per Keynes,
comunque, lo Stato non doveva assumere le funzioni dei capitalisti
privati, ma solo correggere gli squilibri e le distorsioni di
un’economia priva di regole.
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