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Il Contratto Sociale, trattato filosofico-politico di Jean-Jacques Rousseau


 (1712-1778) pubblicato nel 1762, risponde alle questioni sollevate nei due famosi Discorsi del filosofo ginevrino, quello Sulle scienze e sulle arti (1749) e quello Sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini (1754): l’obiettivo di Rousseau è quello di definire un modello politico di società che, nell’impossibilità di ritornare allo stato di natura primigenio  e constatata la crisi in cui versa l’uomo moderno , garantisca la costituzione di uno Stato democratico e assicuri la tutela della libertà individuale di ciascuno.

Il discorso di Rousseau si sviluppa quindi intorno a due poli tra loro strettamente collegati: l’individualismo dei cittadini, da cui deriva in ultima istanza l’origine del potere politico, e il contrattualismo, ovvero l’idea che alla base dell’associazionismo politico vi sia un accordo razionale e convenzionale, che permette di superare la semplice legge del più forte (che Rousseau definisce “patto leonino”).

L’associazione dei cittadini nel patto
Rispetto al contrattualismo hobbesiano e lockeano, che presuppongono entrambi, come nella tradizione giusnaturalistica, che gli individui aderenti al patto abbiano dei diritti naturali cui essi rinunciano, a seguito della scelta di costituirsi come comunità (pactum unionis), per dare vita alla società politica (pactum subiectionis).

Rousseau, rifiutando tale “cessione” di diritti, presuppone invece che l’individuo non abbia alcun diritto se non come cittadino di uno Stato e che tale apparteneneza si deve e si può realizzare solo sul piano di una associazione di persone, che sono poste su un piano di uguaglianza piena e completa.

L’individuo, nella teoria politica di Rousseau, non è quindi dipendente e sottomesso ad un altro individuo, cui ha ceduto tutti o parte dei suoi diritti, ma è un membro di un corpo politico - Rousseau lo definisce un “io comune” - che si fa garante dei diritti e delle libertà individuali.

Tale natura associativa del contratto mira a risolvere la condizione di ineguaglianza che si è instaurata tra gli uomini  e quindi la possibilità di raggiungere un ordine sociale è in Rousseau strettamente connessa alla giustizia politica e ha un valore spiccatamente morale.

Ma ciò implica di per sé la presenza di norme morali antecedenti al contratto; Rousseau infatti ritiene che la legge naturale spinga gli uomini alla conservazione senza la necessità di nuocere più che minimamente all’altro, nonché allo sviluppo della benevolenza e dell’amor di sé .

Questo stato naturale di positiva autoconservazione è però possibile solamente in uno stato primigenio in cui gli uomini, in isolamento e uguaglianza, “perseguono i loro bisogni immediati e necessari senza alcuna complicazione cognitiva o sociale”.

Quindi se nello stato di natura l’uomo non ha necessità di rapporti sociali, essi derivano dal casuale venir meno dell’autosufficienza.

La situazione iniziale del contratto sarà così determinata da ineguaglianza e conflitto, ingiusti e accidentali, inseparabili da quella dimensione sociale di cui il contratto si fa garante.

Ora, fondandosi il Contratto Sociale su un problema morale, la dipendenza reciproca dei cittadini non deve essere una costrizione ma una condizione di indipendenza di ciascuno rispetto agli altri, entro la quale avere la possibilità di realizzare i propri fini: una dipendenza sociale giusta e imparziale

Questo tipo di soluzione è resa possibile dalla clausola dell’alienazione: sottoscrivendo il patto sociale ciascun individuo acconsente alla propria alienazione totale, a “garanzia che alla condotta giusta di ciascuno non corrisponda l’ingiustizia degli altri, una garanzia di reciprocità del rispetto del contratto stesso”
In questo modo, eliminando alla radice le ineguaglianze di potere, l’alienazione attribuisce la totale unità politica alla società.



Tematiche e contenuti del Contratto
La volontà generale
Rousseau, nella sua costruzione di una società ideale, fondata su un patto politico tra gli individui, riconduce ogni diritto politico a un solo principio: quello della volontà generale.
Il concetto di volontà generale viene utilizzato da Rousseau per risolvere la contraddizione insita nella società politica tra il soggetto pubblico fautore delle decisioni, ovvero il sovrano, e gli altri membri della società, che delegano a lui, in quanto garante della libertà, i propri diritti.

La volontà generale è per Rousseau la volontà dei cittadini costituitisi come corpo comune, all’interno del contratto di associazione; la volontà generale è quindi una forma di decisione collettiva legislativa - ben distinta da una semplice somma di volontà individuali - che deve avere cura delle problematiche generali con il fine ultimo e supremo del bene pubblico.

Per Rousseau le leggi devono essere deliberate da tutto il popolo: infatti le decisioni legislative non devono obbligare i cittadini coercitivamente, ma tutti loro devono solamente obbedire esclusivamente a se stessi, e dipendere solo dal corpo politico.
Attraverso il concetto di volontà generale, Rousseau separa l’obbligo dalla dipendenza, in quanto l’obbligo finisce per corrispondere all’interesse individuale.
Essere soggetti alle leggi è quindi sintomo di libertà, perché il cittadino non obbedisce ad altro che alla sua volontà particolare.

La sovranità popolare
L’esercizio della volontà generale viene espresso dalla sovranità, che si esprime mediante la promulgazione di leggi.

La sovranità per Rousseau è popolare così che  siano da rifiutare quei sistemi di governo basati sulla rappresentanza e la delega, poiché la rinuncia alla sovranità implica conseguentemente l'abbandonare la propria qualità di uomo.

Se la sovranità è indivisibile allora non è possibile alcuna divisione di poteri (come già teorizzato da Hobbes), se non per quanto riguarda il potere esecutivo.
L’unico caso ammesso di rappresentanza è quello dedicato ad emanazioni od atti particolari.

Il governo
Il governo invece nella costruzione contrattuale di Rousseau non ha poteri legislativi ma è soltanto un corpo intermedio tra suddito e sovrano e ha poteri esecutivi.
In base a chi partecipa al governo Rousseau identifica tre forme di governo possibili: democrazia, aristocrazia e monarchia.

Nella democrazia la maggior parte del popolo esercita il governo e, pur essendo la forma migliore, è poco praticabile, confondendo attività legislativa e funzione esecutiva; la monarchia, che non ha affatto a cuore l’utile e il bene pubblico ma la soddisfazione degli interessi del sovrano, è condannata senza appello da Roussea.
Così, la forma di governo migliore è quindi quella della aristocrazia elettiva, in cui pochi governanti sono eletti dal resto dei cittadini; in tal modo “i più saggi governano la moltitudine, quando si sia sicuri che la governeranno per suo e non per loro profitto; non bisogna moltiplicare inutilmente le sfere di competenza, né fare con ventimila uomini ciò che cento uomini scelti possono fare anche meglio” 

Con “stato di natura” Rousseau intende quello stato ancestrale dell’umanità, che forse mai è stato esistito e che sicuramente non è più recuperabile da parte dell’uomo moderno, in cui l’uomo, prima del progresso e della civilizzazione, vive come un animale in mezzo ad altri animali, senza vita di relazione o condizionamenti di tipo morale.

La definziione di “stato di natura” serve a Rousseau per muovere una critica alla corrente del giusnaturalismo.
Per Rousseau, l’uomo moderno, frutto delle grandi conquiste e delle grandi ferite del progresso scientifico e culturale, è un “uomo scisso”, che ha risorse e potenzialità enormemente più sviluppate dell’uomo di natura, ma che al tempo stesso è vittima di violenze e soprusi contro la prorpia libertà.

Il Contratto sociale si apre con una frase emblematica: “L’uomo è nato libero e ovunque si trova in catene” (J.J. Rousseau, Il contratto sociale, a cura di M. Garin, Bari, Laterza, 2010, p. 5).
L’amor di sé è da intendere come un sentimento naturale e positivo, che mira alla conservazione della vita, in opposizione all’amor proprio, sentimento negativo che nasce invece dal conflitto con l’altro e dall’impulso alla comparazione con gli altri.

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