La ripresa di interesse attorno agli «usi civici e proprietà collettive» - che ormai data da qualche anno specie in seguito della entrata in vigore della legge 431/1985 - ha segnato un’interessante riapertura del dibattito intorno alla materia; dibattito che ha riconosciuto da un lato la valenza della proprietà collettiva nella programmazione del territorio, o meglio nella stessa gestione ambientale delle risorse territoriali, produttive e della qualità della vita, dall’altro la improrogabile necessità di aggiornare in termini di certezza la conoscenza del dato quantitativo dei beni civici, senza la quale viene meno qualunque intento programmatore e gestionale.
Programmazione e gestione delle terre civiche
Occorre insistere sulla necessità di programmare un tipo di gestione delle terre comuni che sia produttiva; questa, oltre a salvaguardare i diritti reali che su di esse godono le popolazioni titolari (i moderni «cives»), può contribuire in modo determinante a preservarle da altre finalizzazioni. Il pericolo, infatti, può essere quello che le«terre di tutti», essendo «terre di nessuno» ed abbandonate a se stesse,diventino «terre di chiunque»
Molti Comuni non conoscono i demani collettivi loro appartenenti, ovvero ne hanno smarrita la memoria o, peggio ancora, li hanno assimilati alle terre di natura patrimoniale con la conseguenza che, non di rado, i piani regolatori hanno previsto la ricomprensione degli stessi per destinazioni del tutto diverse
Beni demaniali e beni patrimoniali
È d’obbligo ricordare come, secondo l’art. 84, T.U.383/134, i beni appartenenti agli enti locali (Provincia e comune) si distinguono in: beni demaniali e beni patrimoniali.
L’art. 824 c.c. estende, infatti, il regime della demanialità alle seguenti specie di beni di pertinenza delle Province e dei Comuni: le strade, le autostrade e le strade ferrate, gli aerodromi, gli acquedotti, gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche, i cimiteri, i mercati comunali e gli altri beni che sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
E in base all’art. 826 c.c. gli altri beni appartenenti ai Comuni, diversi da quelli sopraelencati, costituiscono il patrimonio comunale.
Si distingue, inoltre, tra:patrimonio disponibile, che comprende quei beni (cosiddetti strumentali) che sono utilizzati soltanto per la produzione di un reddito e che non sono soggetti ad alcuna norma restrittiva per quanto riguarda il trasferimento di proprietà, e patrimonio indisponibile, comprendente quei beni che sono diretti alla soddisfazione di un fine pubblico (i cosiddetti beni finali) e che non possono essere distolti da tale destinazione se non nei modi stabiliti dalla legge.
Nella categoria dei beni di interesse pubblico possiamo far rientrare i demani civici e le proprietà collettive, estendendo ad essi una formulazione di Cassese (1969). Secondo questo autore: “ il tratto pubblicistico più rilevante della c.d. proprietà pubblica non va cercato nella disciplina di appartenenza dei beni ad Enti pubblici, bensì nella disciplina costituzionale della posizione dei privati nei confronti dei beni dei quali gli enti pubblici o collettività sono proprietari o utilizzatori.
Il regime giuridico dei beni pubblici è contraddistinto dalla loro incommerciabilità o inappropriabilità. Cioè non è che la proprietà sia pubblica perché pertiene all’ente pubblico, ma perché non può pertenere a privati”.
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