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“Human in the loop”: IA-intelligenza artificiale e fine del lavoro


Questoarticolo dell’Economist che ci spiega come sia veramente possibile che l’Intelligenza Artificiale come qualsiasi altra rivoluzione tecnologica, distrugga molti posti di lavoro esistenti, ma per la sua stessa natura ne genererà di nuovi.
Fare previsioni di questo tipo, senza addentrarsi troppo nei dettagli è esercizio facile e anche abbastanza di buon senso.
Abbiamo già visto i luoghi di lavoro trasformarsi prima con l’avvento dei PC, poi con la diffusione di internet, per non parlare di come l’avvento degli smartphone abbia stravolto tutto. Non si capisce perché con l’IA non debba avvenire un processo analogo ?
L’IA ha bisogno di dati per funzionare, e tanti più dati ci sono e meglio funziona.


Il nostro destino è lavorare a cottimo per fornire dati alle IA?
Se vogliamo prendere alcuni esempi, Facebookusa il lavoro gratuito di miliardi di utenti che taggano le foto, generano contenuti testuali, e persino valutano le traduzioni prodotte dal sistema. Una cosa analoga è fatta dalle altre grosse società che basano i loro prodotti sui dati (Google, Amazon, per fare altri esempi). In cambio gli utenti ottengono un miglioramento del servizio e prodotti migliori, quindi tutti contenti.
Ora, non è così facile produrre un prodotto software che diventi indispensabile per milioni di persone, tanto da portarli a compiere azioni che generano dati, dati che in altri casi sarebbero pagati. Infatti, prendiamo ad esempio il sito AmazonMechanical Turks (AMT). Questo permette l’incontro tra organizzazioni che hanno bisogno di dati etichettati (bisogna dare un significato ai dati per renderli utili all’addestramento di un sistema di AI) e persone che per lavoro etichettano dati.

D’altronde, più dati abbiamo e migliore può diventare il nostro sistema, no?

Focalizziamoci sul lavoratore che mi dirà per 100 volte se le mie recensioni sono sarcastiche o meno, perché è questo il tipo di lavoro che ci viene propinato dall’Economist come sostituzione a quelli esistenti.
Una massa di lavoratori a cottimo il cui scopo è di nutrire macchine con dati finché ne avranno bisogno.
Ciascuno a casa propria senza contatti con colleghi, e non oso immaginare quali possano essere i diritti sul lavoro, ma ho pochi dubbi sul fatto che il nostro autore auspichi livelli pre-ottocenteschi.
Tutto questo mentre ingegneri e scienziati saranno dall’altro lato a fare la parte intellettualmente più stimolante del lavoro con l’IA, cioè la progettazione di sistemi che possano essere sempre migliori con i dati a disposizione.
A mio avviso questa visione potrebbe essere un buono spunto per il prossimo film distopico, sul filone di Hunger Games o Divergent, ma qualcosa da evitare assolutamente come futuro per la nostra società.

Serve una riflessione collettiva che porti ad una proposta che coinvolga università, aziende e centri di ricerca e che permetta di vedere l’IA da un altro punto di vista.
Una tecnologia che sia in grado di integrarsi nel lavoro di professionisti e operai specializzati per renderlo più rapido ed efficace, e non al contrario mettere gli uomini al servizio delle macchine.
Questo va accompagnato ad un piano per aumentare il livello culturale e le capacità tecnico-scientifiche della popolazione in modo che siano sempre di più le persone con competenze che possano essere valorizzate, a scapito di chi possa accettare il tipo di lavoro di cui abbiamo parlato precedentemente.
So che la proposta non è affatto nuova, anzi risale agli albori del movimento operaio; e non è nemmeno di facile attuazione, anzi è difficilissima. Tuttavia, l’aumento delle diseguaglianze che abbiamo visto negli ultimi anni fa tornare in auge il problema con forme e misure che probabilmente non hanno precedenti nella storia dell’uomo.
E la risposta può essere un volgare individualismo che porti a cercare di stare a galla individualmente, oppure una risposta collettiva al crescente impoverimento.

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