Un mio vecchio amico una volta mi disse: “Vedi l’urbanistica è come un posacenere. Se tutte le cicche sono dentro un piattino di vetro, la stanza è pulita e funzionale.
Se le stesse cicche le spargo dappertutto, l’avrò resa uno schifo impraticabile."
Chi si voglia prendere la briga di osservare su Google le foto satellitari delle periferie urbane, scoprirà una cosa sorprendente.
In alcuni paesi, ad esempio la Germania, le città sono state complessivamente costruite con un certo ordine e criterio.
Ad esempio separando la campagna, le aree industriali, quelle commerciali e quelle residenziali.
A titolo d'esempio, qui vediamo Friburgo (220.000 abitanti).
Friburgo (Germania) e dintorni
Esattamente l’opposto di quello che abbiamo fatto in Italia e, in misura ancora maggiore, in tanta parte della Spagna e della Grecia.
Per essere furbi, abbiamo fatto praticamente tutto dappertutto, creando suburbi vasti come intere provincie, dove si mescolano e si accavallano villette e capannoni, piazzali e condomini, magazzini e centri commerciali.
Mentre sul “retro della città” agonizzano i frammenti di quella che avrebbe potuto essere campagna; gradualmente invasi da baracche, depositi più o meno abusivi, piazzali e tutto l’armamentario del degrado sub-urbano.
Sempre a titolo di esempio, qui vediamo Prato (190.000 abitanti che consumano forse il quadruplo della superficie rispetto a Friburgo).
Prato e dintorni.
Certo, costruire in questo modo ha permesso ai privati di abbattere i costi di costruzione e di urbanizzazione, tanto delle casette, quanto dei capannoni e dei piazzali industriali.
Ma ora, esaurito questo effimero vantaggio, ci troviamo con una situazione ingestibile ed irreparabile.
Molto semplicemente, avere costruito così le nostre città ha delle conseguenze che si possono riassumere così:
Maggiori costi e minore efficienza di tutti i servizi di rete (elettricità, acqua, gas, fognature, trasporti pubblici, ecc.) al punto che spesso non sono neppure realizzabili (tipicamente le fognature e la depurazione).
Maggiori costi di gestione della rete idrica e maggiore rischio idrogeologico.
Maggiori costi e tempi di trasporto.
Sulle medesime strade si incolonnano tir, automobili, apette e ciclisti, assieme ad autobus e pedoni.
Il pericolo è costante, l’efficienza minima.
Maggiori costi di intervento per qualunque opera di manutenzione, integrazione o ammodernamento, sia delle reti, che di impianti, case, ecc.
Al punto che spesso si rinuncia a farli (tipicamente: aree verdi urbane, piste ciclabili, parcheggi scambiatori, ecc.).
Necessità di uso dell’auto privata e del camion, con le conseguenze del caso.
A parità di altri fattori, maggiori tassi di tutti i tipi di inquinamento e conseguenti costi diretti ed indiretti.
Elevato disturbo ed intralcio reciproco fra le diverse attività che si accatastano a casaccio nello stesso posto.
Degrado paesaggistico ed impraticabilità turistica di zone che, magari, contengono oggetti di del pregio storico od artistico delle ville lucchesi o di quelle venete.
Massima distruzione di suolo, soprattutto agricolo e perlopiù di eccellente qualità.
In questo modo infatti, non solo le aree artificializzate vengono rese irreversibilmente sterili, ma anche ben più vaste superfici che diventano inutilizzabili a causa della frammentazione e della difficoltà di accesso.
Isolamento delle residue aree agricole e naturali che perdono così buona parte della loro biodiversità e resilienza.
Nel complesso, non sarei in grado di quantificare il danno, ma in un contesto in cui i margini di guadagno sono sempre più sottili e la competizione sempre più esacerbata, credo che questo genere di costi, moltiplicati per un intero paese, abbiamo un peso rilevante.
Perché dunque nessuno ne parla?
Credo sia per due ragioni principali: La prima è che oramai non c’è più niente da fare.
Non possiamo immaginare di demolire e rifare i due terzi dell’edificato nazionale.
La seconda è che la responsabilità ricade sull’intera popolazione.
Dal privato cittadino che ha voluto farsi la villetta dove aveva ereditato un pezzetto di terra; all’industriale che per i suoi capannoni ha comprato terreno agricolo per poi farsi cambiare la destinazione d’uso.
Fino al tizio che trova comodo accumulare i suoi rifiuti in un cantuccio dietro la città, invece di conferirli secondo norma.
Passando per il palazzinaro che spara le sue villette a schiera dove il terreno costa meno, ciò dove è più lontano dai servizi essenziali.
Insomma, fino agli anni ’60 il “laissez faire, laissez passer” ha funzionato. Abbiamo fatto le stesse cose dei tedeschi e dei francesi, con costi minori.
Si sa che gli italiani sono furbi!
Ma col passare del tempo, abbiamo dovuto cominciare a fare i conti con l’oste e scoprire che chi aveva speso di più per costruire meglio si trovava poi ad avere dei costi di gestione ridotti ed una maggiore produttività.
Se le stesse cicche le spargo dappertutto, l’avrò resa uno schifo impraticabile."
Chi si voglia prendere la briga di osservare su Google le foto satellitari delle periferie urbane, scoprirà una cosa sorprendente.
In alcuni paesi, ad esempio la Germania, le città sono state complessivamente costruite con un certo ordine e criterio.
Ad esempio separando la campagna, le aree industriali, quelle commerciali e quelle residenziali.
A titolo d'esempio, qui vediamo Friburgo (220.000 abitanti).
Friburgo (Germania) e dintorni
Esattamente l’opposto di quello che abbiamo fatto in Italia e, in misura ancora maggiore, in tanta parte della Spagna e della Grecia.
Per essere furbi, abbiamo fatto praticamente tutto dappertutto, creando suburbi vasti come intere provincie, dove si mescolano e si accavallano villette e capannoni, piazzali e condomini, magazzini e centri commerciali.
Mentre sul “retro della città” agonizzano i frammenti di quella che avrebbe potuto essere campagna; gradualmente invasi da baracche, depositi più o meno abusivi, piazzali e tutto l’armamentario del degrado sub-urbano.
Sempre a titolo di esempio, qui vediamo Prato (190.000 abitanti che consumano forse il quadruplo della superficie rispetto a Friburgo).
Prato e dintorni.
Certo, costruire in questo modo ha permesso ai privati di abbattere i costi di costruzione e di urbanizzazione, tanto delle casette, quanto dei capannoni e dei piazzali industriali.
Ma ora, esaurito questo effimero vantaggio, ci troviamo con una situazione ingestibile ed irreparabile.
Molto semplicemente, avere costruito così le nostre città ha delle conseguenze che si possono riassumere così:
Maggiori costi e minore efficienza di tutti i servizi di rete (elettricità, acqua, gas, fognature, trasporti pubblici, ecc.) al punto che spesso non sono neppure realizzabili (tipicamente le fognature e la depurazione).
Maggiori costi di gestione della rete idrica e maggiore rischio idrogeologico.
Maggiori costi e tempi di trasporto.
Sulle medesime strade si incolonnano tir, automobili, apette e ciclisti, assieme ad autobus e pedoni.
Il pericolo è costante, l’efficienza minima.
Maggiori costi di intervento per qualunque opera di manutenzione, integrazione o ammodernamento, sia delle reti, che di impianti, case, ecc.
Al punto che spesso si rinuncia a farli (tipicamente: aree verdi urbane, piste ciclabili, parcheggi scambiatori, ecc.).
Necessità di uso dell’auto privata e del camion, con le conseguenze del caso.
A parità di altri fattori, maggiori tassi di tutti i tipi di inquinamento e conseguenti costi diretti ed indiretti.
Elevato disturbo ed intralcio reciproco fra le diverse attività che si accatastano a casaccio nello stesso posto.
Degrado paesaggistico ed impraticabilità turistica di zone che, magari, contengono oggetti di del pregio storico od artistico delle ville lucchesi o di quelle venete.
Massima distruzione di suolo, soprattutto agricolo e perlopiù di eccellente qualità.
In questo modo infatti, non solo le aree artificializzate vengono rese irreversibilmente sterili, ma anche ben più vaste superfici che diventano inutilizzabili a causa della frammentazione e della difficoltà di accesso.
Isolamento delle residue aree agricole e naturali che perdono così buona parte della loro biodiversità e resilienza.
Nel complesso, non sarei in grado di quantificare il danno, ma in un contesto in cui i margini di guadagno sono sempre più sottili e la competizione sempre più esacerbata, credo che questo genere di costi, moltiplicati per un intero paese, abbiamo un peso rilevante.
Perché dunque nessuno ne parla?
Credo sia per due ragioni principali: La prima è che oramai non c’è più niente da fare.
Non possiamo immaginare di demolire e rifare i due terzi dell’edificato nazionale.
La seconda è che la responsabilità ricade sull’intera popolazione.
Dal privato cittadino che ha voluto farsi la villetta dove aveva ereditato un pezzetto di terra; all’industriale che per i suoi capannoni ha comprato terreno agricolo per poi farsi cambiare la destinazione d’uso.
Fino al tizio che trova comodo accumulare i suoi rifiuti in un cantuccio dietro la città, invece di conferirli secondo norma.
Passando per il palazzinaro che spara le sue villette a schiera dove il terreno costa meno, ciò dove è più lontano dai servizi essenziali.
Insomma, fino agli anni ’60 il “laissez faire, laissez passer” ha funzionato. Abbiamo fatto le stesse cose dei tedeschi e dei francesi, con costi minori.
Si sa che gli italiani sono furbi!
Ma col passare del tempo, abbiamo dovuto cominciare a fare i conti con l’oste e scoprire che chi aveva speso di più per costruire meglio si trovava poi ad avere dei costi di gestione ridotti ed una maggiore produttività.
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