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L’energia e l’organizzazione sociale.

 
La disponibilità di energia, in modo specifico quella ottenuta dai combustibili fossili (carbone e petrolio), è stata alla base della rivoluzione industriale, che a sua volta è stata alla base della svolta tecnologica per la società; rendendo possibile, per la prima volta nel corso della storia, un miglioramento del tenore di vita anche per le persone più in basso nella scala sociale.

 

Rendiamocene conto: il valore della vita di ciascun uomo è cresciuto enormemente rispetto a quello che aveva rispetto ai secoli precedenti, la lunghezza media della vita è aumentata per la prima volta in modo significativo e non solo a beneficio esclusivo delle classi agiate.
Come conseguenza di ciò è stato molto facile fare accettare alla popolazione situazioni fortemente dannose come quelle che la popolazione ha subito e che continua a subire.
 
Poichè l’energia è stata, come detto prima, principalmente ottenuta dalla combustione di carbone e petrolio, con ampia partecipazione dello zolfo in essi contenuto, è stato accettato il fenomeno dell’inquinamento atmosferico anche nelle sue forme più gravi, culminato nel 1952 a Londra, col fenomeno chiamato “grande smog” con 12000 morti, 4000 nella settimana del fenomeno, ed altri 8000 in seguito.

Abbiamo accettato di vedere irrimediabilmente rovinati i nostri capolavori del passato dalla pioggia acida, abbiamo sopportato un tasso di incidenza dei tumori immensamente superiore a quello dell’era pre-industriale e stiamo ancora accettando questi stessi fenomeni, pur se fortissimamente attenuati rispetto al passato, ma sopportando ancora i rischi derivanti dall’accumulo e dal trasporto di combustibili.

Abbiamo poi avuto l’esperienza del fatto che sarebbe stato possibile sin dall’inizio limitare i rischi ed evitare ciò che poi è accaduto. Ma perchè non è stato fatto?

Perchè abbiamo dovuto subire innumerevoli morti da tumori ed il degrado delle foreste, del patrimonio artistico ed archeologico (che è stato nostro dovere assoluto preservare per le generazioni future), quando sarebbe stato possibile evitarlo?
La risposta è semplice e immediata: il potere del liberismo economico.
 
I soliti economisti politici, di diretta derivazione da quel tipo di potere, hanno convinto il potere politico che occorreva favorire l’economia e non regolamentare.
Così a Londra il carbone era pieno di zolfo perchè il combustibile di migliore qualità doveva essere esportato...
Ed anche in seguito non si è fatto ricorso alla necessaria regolamentazione, visto che il fenomeno è durato inalterato fino agli anni ’80; e non solo a Londra, ma anche da noi. Da ricordare nelle mattine invernali il fungo arancione sopra Torino, ben noto ai lavoratori pendolari...

L’energia basata sulla combustione, che ha consentito il progresso tecnologico finora, in un futuro non troppo lontano, è  destinata ad esaurirsi o a diventare comunque sempre meno fruibile a causa dei costi di estrazione sempre crescenti. Anche considerando che nel frattempo ci saranno affinamenti nel consumo di energia, più di metà della popolazione mondiale deve ancora passare per la società industriale e si consumerà almeno il doppio della quantità di combustibile impegnata attualmente.

Occorre far notare che la quantità di energia ricavabile dalle varie fonti, alternative ai combustibili fossili, è largamente insufficiente per i consumi della società industriale: ciò che per il nostro consumo privato è una enormità è per l’industria una inezia, la quantità di energia che una famiglia media consuma in 2 mesi è pari a quella necessaria a fondere una sola tonnellata di acciaio...
Per mantenere la società industriale non serve assolutamente fare ricorso alla produzione di energia alternativa ai combustibili fossili, l’energia eolica incide scarsamente e non può essere incrementata a dismisura per l’eccessiva antropizzazione, l’energia termica dal sottosuolo perchè possa dare un contributo significativo ha bisogno di grandi investimenti e forse anche di nuove tecnologie, la produzione di energia elettrica da solare non può estendersi grandemente, in quanto l’area occupata degli impianti e la sottrazione di energia al suolo vanno a scapito dell’agricoltura.

Inoltre, per quanto riguarda l’energia prodotta da impianti fotovoltaici, fino a qualche anno fa l’energia totale producibile nell’arco dell’intera esistenza dell’impianto era inferiore alla quantità di energia necessaria a costruire i dispositivi fotovoltaici stessi (solo nel 2012 il pareggio è stato raggiunto)...

 Il giorno in cui si riuscirà ad ottenere energia in grandi quantità ed a basso costo, con questa organizzazione sociale i nostri discendenti saranno destinati ad essere rosolati come roast-beef...
Infatti la Terra è un sistema quasi isolato, e, tranne che per irraggiamento, non scambia energia con l’esterno.

Tutta l’energia prodotta alla fine si trasformerà in calore e, poichè lo scambio energetico con l’esterno è in equilibrio, la produzione di energia non potrà che far alzare sempre di più la temperatura del pianeta.

Alzandosi la temperatura, aumenterà la quantità di energia dissipabile, ma questo non farà altro che allungare l’agonia, visto che la nostra civiltà non può permettersi che un aumento medio di pochi gradi centigradi.
 
Questo quasi indipendentemente dal fenomeno dell’effetto serra, di cui tanto si parla, che ha soltanto l’effetto di limitare la quantità di energia, in gran parte ricevuta dal sole, che viene dissipata nello spazio; se usassimo l’energia solare nella stessa quantità di quella che viene assorbita dall’atmosfera avremmo lo stesso identico effetto di riscaldamento.

Limitando il più possibile l’effetto serra si può migliorare lo smaltimento di calore per irradiazione, ma il succo resta sempre quello: sulla terra il quantitativo totale di energia consumabile è limitato dalla quantità di energia irradiabile nello spazio.
 
Qui la solita domanda: ma l’umanità sarà così stupida?
Innanzitutto non si tratta dell’umanità, ma si tratta del fatto che coloro che hanno il potere di imporre una organizzazione sociale siffatta, non pensano minimamente ai bisogni di coloro che non esistono  ancora e che non possono quindi contrastarli.

E costoro, la storia dovrebbe averlo già abbondantemente insegnato, dei bisogni anche primari della popolazione interessa ben poco: non per nulla abbiamo avuto 2 guerre mondiali e continuiamo ad avere guerre...

La cui origine è chiaramente per far aumentare il potere (in genere economico) dei potenti.
Questa organizzazione sociale è governata dall’“economia”...

Ho scritto “economia” tra virgolette per significare come ormai a questo termine corrisponda un particolare significato: assegnare un valore monetario a tutto, e soprattutto assegnare questo valore ad esclusivo beneficio di chi l’econonomia la controlla.
Ovviamente non ci si può aspettare che le aziende private tengano in considerazione il depredamento delle generazioni future, i rischi per la popolazione e per l’ambiente, l’abuso delle risorse e fatti di questo genere: lo statuto delle società che detengono le fonti energetiche non contemplano, se non per celia, criteri di benessere sociale. Il profitto a tutti i costi è la unica ragione della loro stessa esistenza.

Lo sviluppo economico e sociale è nelle mani di gruppi privati, governata dalle leggi di una economia “tradizionale”, interamente basata sul profitto e quasi per nulla regolamentata, in ossequio alla regola del liberismo economico.
 
Nessuna delle società private rinuncerebbe ad usare energia per produrre e guadagnare e nessuna società privata rinuncerebbe a fornire energia e rinunciare al guadagno.
Man mano che sempre di più la popolazione è incasellata nell’organizzazione sociale che si viene a creare, è sempre più difficile cambiare l’organizzazione sociale stessa, perchè, come quotidianamente si può vedere, si creano meccanismi atti a preservare lo status quo.

Questa organizzazione sociale, come appunto dimostrano i fatti che quotidianamente accadono e ciò che mi ha dato lo spunto per scrivere questo articolo, ha veramente scarsa attenzione ai rischi che inevitabilmente sono connessi alla produzione ed al consumo di energia, rischi che sono sempre maggiori quanto maggiore è la quantità di energia in gioco.

Per prevenire possibili incidenti occorre spendere.
La spesa per la prevenzione viene stabilita secondo il possibile danno.
La valutazione del danno dipende dalla probabilità stimata dell’evento che causa il danno e dal valore del danno.
Tanto per farcene un’idea, vediamo quali sono i valori in gioco.
Cominciamo dalla vita umana.
Come tutti sanno, le compagnie di assicurazione risarciscono i parenti prossimi delle vittime di incidenti, ed il risarcimento, guarda caso, è dello stesso ordine di grandezza del reddito stimato, ovvero una persona vale secondo la sua capacità di produrre reddito.
Non siamo progrediti per nulla da quando era possibile comprare degli schiavi.
 
Comunque, ad occhio e croce la vita di una persona costa poche centinaia di migliaia di euro; ed ecco che moltiplicando il valore del numero massimo stimato delle vittime per la probabilità che si verifichi l’evento che potrebbe causare, si ha il valore dell’opera di prevenzione.

Un valore medio, per un disastro che contempli un centinaio di morti, è di 25 milioni di euro; la probabilità che si verifichi un disastro del genere è valutata in un intervallo tra uno su diecimila ed uno su centomila e dà come valore da assegnare alla prevenzione una cifra di qualche migliaio di euro... una vera inezia per le grandi aziende e del tutto insufficiente a costituire una base per uno sviluppo di azioni di prevenzione degne di questo nome.

Il che significa che, in effetti, di prevenzione seria una azienda privata non ne fa: molto meglio affidarsi ad una assicurazione, ed i progettisti quando raggiungono valori di rischio di questi ordini di grandezza non ricercano ulteriori misure di sicurezza.
Ecco quindi spiegati i motivi per cui gli incidenti accadono ed accadono con questa frequenza.

Che il valore dato al danno provocato sia del tutto inaccettabile per le normali persone e che questi valori sono valori di comodo per i produttori è palese, basta pensare a quanti sarebbero disposti a subire il danno a fronte del rimborso in questione...
 
E penso che solo i dementi possano accettare di correre il rischio di dover morire per favorire gli introiti di una società privata...
Pensate anche a quei depositi di combustibile, da decine di migliaia di metri cubi, ubicati nelle vicinanze di centri abitati, e per di più, come in Liguria, sotto un’autostrada, col pericolo che un veicolo ci cada sopra; scusate se insisto: un metro cubo è formato da un milione di litri, pensate a cosa vi capiterebbe se vi bruciasse addosso un solo litro di benzina...
 
“Ma tanto queste cose non capitano mai...”; e invece queste cose succedono e con una frequenza non trascurabile (proprio il 30 ottobre 2009 ottobre, in India, e dalle nostre parti, nelle vicinanze di Napoli, nel 1985), e comunque prima o poi incidenti del genere capiteranno...
Questo aspetto dell’organizzazione sociale, che si fonda appunto sulla continua produzione di beni dalla vita di breve durata, è un altro regalo delle elucubrazioni di quegli economisti politici strettamente collegati al potere, aspetto basato a sua volta sulla teoria delle “risorse infinite”.

Certamente se la vita di un bene viene reso artificiosamente breve per scopi di lucro, l’energia che si consuma che distruggerlo e crearne uno che lo rimpiazzi è del tutto sprecata; ma se ci troviamo in una condizione del genere, forse più che dello spreco dell’energia ci dovremmo preoccupare della nostra sanità mentale...
 
E ne abbiamo, socialmente parlando, di che preoccuparci a questo proposito. Vengono prodotti (perchè siano acquistati) oggetti totalmente inutili (quasi tutti i cosiddetti “oggetti da regalo”) destinati a diventare rifiuti pochi minuti dopo che hanno svolto il loro pressochè inutile compito; c’è la mentalità, che una martellante pluridecennale pubblicità ci ha imposto, di considerare la plastica come prodotto “usa e getta” invece che come una preziosa materia prima di cui dovremo fare sempre più a meno man mano che il petrolio aumenterà di prezzo...

In risposta a questa situazione si è creato un movimento di opinione che ha ha avuto un grande impatto sulla popolazione, ma nonostante tutto non è molto aumentata l’attenzione da parte dai produttori verso le esigenze delle generazioni future.
L’aumentato interesse della popolazione verso i temi ambientali anzi è stato occasione di ulteriore guadagno, causa di ulteriori danni ambientali (v. le ecomafie), ma soprattutto un modo per far ricadere sulla popolazione il costo della riparazione dei danni ambientali causati dall’industria.

Di questo sono esempi la raccolta differenziata dei rifiuti da avviare al riciclaggio (che, è bene sottolineare, funziona soltanto grazie alla collaborazione della popolazione), i contributi che lo stato (non solo quello italiano) versa nelle tasche dei produttori prendendo a pretesto la conservazione dell’ambiente, le tasse sull’energia che gravano sulla popolazione, ma non sui produttori, i contributi pubblici per l’installazione dei pannelli fotovoltaici che non solo produrranno meno energia di quella usata per costruirli, ma che porrà, dopo una ventina di anni, non indifferenti problemi di smaltimento.
 
È ovvio che l’ambiente  dovrebbe essere preservato sin dall’origine del ciclo produttivo, e non avviare la riparazione dei danni, che non potrà comunque che essere molto parziale, a spese della popolazione; e poi non sarebbe male se considerassimo che dovremmo preservare delle risorse energetiche per le generazioni future.

Nel caso dell’energia, che, ricordiamolo, è solo uno dei tanti aspetti delle attività umane, è necessario consumare solo l’energia che serve; occorre essere prudenti nello sfruttare le risorse: non conosciamo sufficientemente tutte le innumerevoli interazioni fisiche che avvengono nel mondo in cui viviamo, e anche se sappiamo che spesso si creano delle reazioni alle nostre azioni che equilibrano il disturbo arrecato dall’uomo, può tranquillamente accadere che si inneschino dei fenomeni di instabilità globale che potrebbero portarci al disastro.

Inutile cercare adesso nuove fonti di energia, questo sarebbe di ulteriore danno; se non si cambia il modo di concepire l’organizzazione sociale, si avranno ben pochi risultati; con una organizzazione sociale totalmente basata su ragioni “economiche”, anche il fatto di avere energia a costo “basso”, non andrebbe a favore della popolazione in quanto tale, ma rischierebbe di aggravare il degrado ambientale e sociale. 
 
Ma è possibile cambiare tipo di economia? È conveniente farlo?
Il ruolo dell’industria pesante è spropositato; se andava bene per produrre “velocemente” manufatti utili al buon vivere, adesso questo non solo non è più giustificato, ma è dannoso socialmente, almeno nelle società che hanno già passato il periodo iniziale della prima società industriale.

Ed oltretutto è duro da sopportare il constatare che il costo sociale dello spreco dell’energia non è a carico di chi produce i beni, ma di noi tutti che ci dobbiamo far carico dei guasti prodotti dalla produzione.
Questa società impone inoltre un forte inurbamento che oltre ad essere un’altra fonte di spreco enorme dell’energia in trasporti di beni e persone, rappresentano una condizione molto gravosa per un gran numero di lavoratori, costretti a perdere negli spostamenti una significativa frazione della loro esistenza.

Adesso occorre assolutamente passare ad una società “del bene duraturo”: una società basata sull’artigianato, in grado di offrire risposta alle esigenze delle persone e non impegnata a produrre spazzatura secondo i dettami pubblicitari.

Bisognerà ricreare, se si vuole offrire un futuro ai nostri figli e nipoti, una mentalità socialmente più razionale.
Riguardo a questo aspetto, ecco emergere l’esigenza di avere il controllo veramente pubblico dell’energia.
Questo sembra un traguardo a breve difficilmente raggiungibile, visto che il concetto di “pubblico” in larghi settori di persone è pressochè privo di senso; “pubblico”, quando non è un sinonimo di “res nullius”, significa soltanto che è di supporto al potere politico.
Occorre costruire una mentalità per cui esista una “res publica”; cioè una mentalità che riconosca nella collaborazione la convenienza di ciascuno, e non, come capita adesso, nel fingere disponibilità alla collaborazione, carpire la fiducia ed usare le azioni degli altri a proprio esclusivo vantaggio, confidando nel fatto che coloro di cui si utilizza il lavoro non sono in grado di opporsi.
 
Parti del testo tratte dal sito : http://www.sinassi.it/it/node/12

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